La posizione di Italia Nostra sull’ abbattimento dei ruderi di Largo Avignone

I monumenti sono beni culturali definiti sulla base dell’articolo 2 del decreto legislativo del 22 gennaio 2001, n. 42 come “cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. La loro conservazione è giustificata dall’unicità, dalla rarità e dal valore culturale che li caratterizzano. Tutela e cura sono principi basilari nei quali rientrano tutte le attività volte alla conservazione del patrimonio culturale. Mentre la tutela si occupa degli interventi straordinari da parte della pubblica amministrazione,comprese norme e divieti, autorizzazioni, nulla osta e sanzioni, la cura comprende invece tutte quelle azioni di natura ordinaria, che sono volte alla conservazione e al mantenimento dei beni culturali. L’unicità, la rarità e l’alto valore culturale si possono applicare, senza ombra di dubbio, ai pochi brani di tessuto urbano superstiti del terremoto del 28 dicembre 1908, che distrusse l’area dello Stretto e in particolare la nostra città di Messina; brani che testimoniano una città che ormai non è più – il piano Borzì ha cancellato completamente la città vecchia con tutti i suoi monumenti - e che hanno inoltre una forte valenza identitaria.

Abbiamo assistito negli ultimi decenni a un pervicace accanimento della speculazione immobiliare inteso alla cancellazione sistematica di queste importanti tracce del passato, anche di primo novecento, nella indifferenza dell’opinione pubblica o peggio nelle scelte politiche e urbanistiche degli enti locali e nella complicità di fatto degli organismi deputati alla tutela di questi beni. L’incuria voluta e la tattica di favorire il degrado (magari accompagnate da “manine” rimaste impunite che nottetempo o nei giorni festivi hanno fatto sparire pezzi di muri, cornici, archi ...) hanno segnato una strategia volta distruggere l’oggetto di tutela, magari dichiarandolo “pericolante” e così eliminare definitivamente l’ostacolo che si frapponeva alla realizzazione di brutti e anonimi palazzoni nel centro urbano e non solo.

Una politica che ha sempre permesso di costruire dovunque potevano ingrossarsi il profitto e la rendita, in maniera caotica senza alcun interesse per la salvaguardia delle zone panoramiche della città né, tanto meno di un assetto urbanistico che garantisse i servizi sociali.

Nel 1967 la legge n. 765 stabiliva il divieto di costruire in quei comuni in cui non fosse stato redatto il piano regolatore; ma la stessa legge concedeva un anno di proroga per la presentazione dei progetti. Fu proprio in quell’anno che la speculazione toccò il suo culmine, sicché nella sola estate del ’68 furono approvati oltre 300 progetti attraverso incredibili procedure (correva voce negli ambienti degli addetti ai lavori che nel fiume siano passati anche semplici schizzi e progetti retrodatati). Per molto tempo si è costruito con questi progetti fino alla saturazione di tutto il perimetro urbano. Questo è essenziale per capire perché è cominciato da tempo l’assalto alle aree in cui resisteva quel poco di memoria architettonica superstite esistente nel centro urbano.

Le recenti e passate demolizioni delle case settecentesche di Largo Avignone e del Tirone, e la distruzione della zona archeologica della cosiddetta villa Melania Pistunina ne sono gli esempi più eclatanti; ma con la stessa perversa logica sono stati cancellati brani significativi della Messina eclettica e liberty di primo novecento (palazzo e chiesa dei gesuiti, la chiesa di Maria Ausiliatrice con l’oratorio salesiano al torrente Boccetta, i teatri Peloro e Savoia, il palazzo dei “telamoni”, sopraelevazioni e superfetazioni più o meno abusive e via distruggendo). In questo contesto parte della stampa locale ha fatto da grancassa in sostegno dei palazzinari, salvo poi versare lacrime di coccodrillo sulla Messina di una volta, inventandosi una messinesità inesistente.

Dopo il ritiro dei due strumenti urbanistici la Variante di Salvaguardia nota come Salvacolline e il Nuovo Prg da parte della nuova Giunta, che ha cancellato cinque anni di programmazione urbanistica della precedente amministrazione Accorinti, si configura una pericolosa contingenza, simile negli effetti a quella del ’68, con l’aumento del pericolo per le zone a rischio idrogeologico e perché pone le basi per un nuovo “sacco” edilizio inutile e devastante. Inutile per una città con forte contrazione demografica e con un mercato immobiliare in caduta libera. Come ha scritto un periodico locale siamo in presenza di un altro tassello di “un puzzle che racconta una città in cui attraverso il cemento si sono stretti accordi alcuni dei quali finiti in grandi operazioni antimafia come Beta".

Cambiano gli attori ma il contesto rimane sempre uguale. Dietro queste operazioni la logica speculativa vince pervicacemente per la contiguità di quanti dovrebbero rappresentare le istituzioni e che sono il più delle volte corresponsabili o sfacciatamente complici. Non solo ma la sfrontatezza riguarda la capacità di “interpretare” le norme e di rendere possibile, in una città ricostruita dopo i terremoti del 1783 e del 1908 con la logica di altezze limitate (10-12,5 metri d’altezza dopo il terremoto del 1908 con il Piano Borzì), di arrivare ad edificare – come nel nostro caso - una decina di piani.

Che senso ha, in una città che conteneva le altezze per il rischio dei terremoti, sviluppare in altezza l’edificato collassando ancora di più il centro storico della Ricostruzione urbana? Quale visione d’insieme funziona per darle una possibilità di utilizzo e di riorganizzazione? Già a partire dagli anni ’50 del secolo scorso partiva la sopraelevazione della città post 1908 manifestando miopia e incapacità di gestione, ora il problema centrale è quello della conservazione del nostro patrimonio storico e architettonico che va in pezzi, certamente nessuno in una città sottoutilizzata data la rilevante presenza di immobili abbandonati sentiva il bisogno di un nuovo inno alla speculazione edilizia.

Il massimo dell’ipocrisia corrisponde poi alle dichiarazioni dei progettisti: «costruiremo la facciata settecentesca per anastilosi e costituirà il nuovo ingresso. Fino a prova contraria si chiama «anastilosi» il rimontaggio dei rocchi di un tempio classico con semplice riaccostamento delle parti trovate a terra. Chiamare «anastilosi» il recupero di alcune pietre di portali e finestre per produrre una “macedonia storico-evocativa” su una facciata di materiali contemporanei ci sembra proprio un grande bluff di dubbio gusto.
I materiali storici si conservano con i mezzi del restauro non si rimontano con la logica della citazione. Questo può forse piacere a chi vuole giocare con la storia ma è una scelta culturalmente inammissibile e assai rischiosa.
In questa città da molti anni le questioni, in particolare quella urbanistica e quella della conservazione del patrimonio culturale, sono trattate timidamente e con pannicelli caldi dimenticando la necessità di guardare con profondità, professionalità e concretezza al recupero del patrimonio urbano e culturale.

Fin quando non si acquisirà consapevolezza del fatto che occorre rideterminare e qualificare la città da lasciare a chi verrà dopo di noi non si modificherà la capacità di incidere sul reale. La questione delle fontane esplosa negli ultimi giorni, o quella dei resti della Cittadella vandalizzati da decenni, o quella del recupero della zona falcata e dell’intero misconosciuto patrimonio storico cittadino dimostra l’attualità di questi problemi e la necessità di guardare in grande.

Italia Nostra nel denunciare quest’ulteriore sfregio al nostro patrimonio storico architettonico, fa appello a tutte le forze ambientaliste, culturali, religiose, sindacali e politiche perché di concerto si pronuncino sull’argomento e impediscano ulteriori tragici sviluppi di questa incredibile vicenda.

Si fa promotrice di un convegno da tenersi nel prossimo autunno per avviare un pubblico dibattito su questi argomenti e prospettare ipotesi alternative al degrado e alla distruzione, per una svolta nella direzione della salvaguardia e della tutela dei beni storicoartistici, paesaggistici e architettonici.

 

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