Respirare poesia nella zona falcata,
come impropriamente è definita l’ area che segna i limiti
del nostro porto e ne definisce la sua forma di falce, respirare poesia
qui, è un’ impresa quasi impossibile, quasi impossibile
è semplicemente respirare. Chi di noi vi si è avventurato
sa quanto disfacimento convive con nobili architetture , quanta bruttura
soffoca le bellezze rimaste, quanto dolorosamente ci si renda conto
non solo e non soltanto di un abbandono istituzionale, ma soprattutto
di una perdita del senso, di un oblio di ciò che per noi messinesi
questo luogo ha rappresentato. E, averla definita “zona falcata”,
inconsciamente ha ratificato questa distanza tra noi e le nostre origini,
tra il cuore della città e il suo porto; “zona”
è parola che allontana, che rende generico e impersonale un
luogo perché sta ad indicare un punto non identificato della
terra o del cielo: zona polare, zona equatoriale, zona climatica …
Denominarla “Quartiere S. Raineri”, sarebbe più
appropriato? Certamente “Quartiere” identifica immediatamente
l’ appartenenza ad una città.
Ma, quanti di noi conoscono, si sono
addentrati in questo nostro quartiere?
Quasi sempre l’ abbiamo guardato da dirimpettai, dalla parte
della “terra ferma”, del centro urbano; l’ abbiamo
guardato dalla passeggiata a mare, dalla balconata di Cristo Re, e
ancora dai Forti umbertini e da Dinnammare incastonandolo come un
gioiello in una panoramica che man mano si allargava a tutto lo Stretto
fino a Capo Peloro e alla costa calabra da S. Eufemia a Capo d’
Armi. Insomma l’ abbiamo guardato come un bell’ oggetto,
come se la natura ce lo avesse offerto alla vista, ma non alla fruizione.
La più gran parte di noi o
non ha oltrepassato la zona dell’ imbarco delle navi traghetto,
o si è spinto oltre solo per raggiungere direttamente e velocemente
i siti storici sopravvissuti, temporaneamente concessi per eventi
culturali e che per il breve spazio di un mattino (o di un pomeriggio)
ridavano vita al possente Forte S. Salvatore, o al bellissimo Istituto
Talassografico o alla magnifica Lanterna del Montorsoli.
E ci siamo persi anche l’ incanto della spiaggia che si estende
dall’ altro lato, lungo il versante aperto al mare dello Stretto
dove tuttora si agita il terribile gorgo che i greci chiamavano Cariddi
ma che per noi è divenuto un nome senza luogo. ”Cariddi”,
per noi indica un punto non precisabile che va dalla fiera a Capo
Peloro.
La falce e la città non si
sono appartenute; un raccordo maldestro e dall’aria provvisoria
(il Cavalcavia) ha occultato il Bastione Don Blasco alterando la morfologia
del territorio e improvvide destinazioni d’ uso e pianificazioni
affrettate hanno fatto il resto.